Nel sorriso di Benedetta una luce che parla di Cielo

530

La testimonianza di vita e di fede di Benedetta Giovannelli, giovane studentessa e volontaria del MAiC prematuramente scomparsa

«Sii lodato, mio Signore!». Di ritorno dalla Gmg di Lisbona un canto di lode chiudeva la riflessione di Benedetta Giovannelli. Parole che – per chi la conosceva- potevano trovare conferma in un sorriso dolcissimo, tanto più dolce quanto consapevole delle difficoltà e della sofferenza che avevano agganciato la sua vita. Ora, che a 23 anni Benedetta è morta per una grave malattia, affollano la mente e il cuore tante domande. Eppure, nei suoi ultimi giorni, di fronte al limite e al mistero che racchiude ogni esistenza, anche davanti alla pena di un nudo patire, Benedetta ha lasciato impresso il sorriso e la luce di una ragazza assetata di vita. Una vita intuita così grande e bella da farla restare gioiosamente aperta all’incontro con il Signore nella preghiera e nell’Eucarestia. Era lei, con il suo fare delicato, a comunicare una pace che non ti aspetti e Lui in lei, il Signore della vita, che dalla croce sa aprire finestre sul “Regno”, su quel di più che non ti spieghi quando i conti e le attese degli uomini non tornano.

Molti hanno intravisto quel “di più” nella vicenda di Benedetta. Martedì 2 luglio, per le esequie nella chiesa della Vergine a Pistoia erano tantissimi i  giovani presenti: compagni di scuola, amici di volontariato, compagne della sua squadra di pallavolo. Don Diego Pancaldo nell’omelia ha ricordato tre momenti significativi della vicenda di Benedetta. Il servizio svolto presso la fondazione Maic, a partire dai suoi 15 anni fino a quando le forze glielo hanno permesso e la condivisione con gli amici in un ritiro a Dobbiaco nel 2021, quando – raccontava don Pancaldo – «con molta delicatezza parlò della sua condizione di sofferenza, ma espresse anche la sua gratitudine per la vita, al suo ringraziamento al Signore». Poi, nell’agosto scorso, la partecipazione alla Giornata mondiale della Gioventù di Lisbona. Già molto fragile, è stata comunque punto di riferimento per tanti, nel desiderio di esserci e di vivere a pieno un’esperienza memorabile, custodendo – allo stesso tempo – un’attenzione speciale per Marco, ragazzo con sindrome di Down che non l’ha mollata un momento.

Al ritorno dal Portogallo Benedetta commentava così quei giorni. «Pensavo che Dio mi avesse abbandonato perché non mi ha donato la salute, tuttavia mi ha dato la forza per eseguire progetti grandiosi, il dolore per comprendere meglio cosa sia il vero significato della salute. Inoltre mi ha donato la vita affinché potessi apprezzare ogni cosa del creato. Il Signore, durante questo viaggio mi ha dato tutto quello di cui avevo bisogno senza che io chiedessi niente». Accanto ai ragazzi disabili e sorretta dalla loro ricchezza interiore Benedetta diceva di sentirsi “ricaricata” «per poter aiutare gli altri a salire gli scalini della Grazia, gradino dopo gradino per poter vedere il panorama da un altro punto di vista che, in alcuni casi si è rivelato essere il migliore».

Benedetta ha avuto il tempo e la forza di concludere il primo ciclo del corso di studi in Storia dell’arte, con una tesi dedicata alla rappresentazione degli infermi nella produzione artistica di ambito francescano tra XIV e XV secolo. Uno studio che – precisava lei stessa nell’introduzione – scaturiva dalla sua esperienza di volontariato accanto ai disabili. La stessa conclusione del lavoro, discusso con successo prima del precipitare della sua salute, è rivelativa: «San Francesco e il francescanesimo hanno diffuso l’idea secondo la quale nessuno si salva da solo, ma è tutta l’umanità che deve cercare di salvarsi, aiutando coloro che ne hanno più bisogno. Vorrei concludere questo mio lavoro con una frase di Gesù, estrapolata dal Vangelo di Matteo: “La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata testata d’angolo” (21,42). Questo è un andare oltre la logica dello scarto, ma è anche e soprattutto un riconoscere valore e dignità a ciò che è stato scartato. Solo così possiamo evolverci».

Ugo Feraci

(tratto da “La Vita – Pistoia Sette”, dorso settimanale di “Avvenire”)